News
“Ora invecchiamo per essere curati: cambiamo rotta”
Lo dice Roberto Pili, medico, Presidente IERFOP e della Comunità mondiale della longevità.
«Viviamo più a lungo, è vero. Ma gli ultimi anni della nostra vita li viviamo male rischiando di peggiorare ulteriormente la nostra condizione. Non è per caso che la stragrande maggioranza delle vittime causate dal coronavirus siano persone anziane con pluripatologie». Roberto Pili, medico, Presidente IERFOP e della Comunità mondiale della longevità, il problema lo conosce piuttosto bene. Da anni è impegnato in progetti per sensibilizzare l’invecchiamento attivo e in salute.
Mezzo milione di over 65 – «In Sardegna – spiega – ci sono circa 500mila over 65, poco meno di un terzo della popolazione isolana, di questi, 15mila sono over 90. Molti di loro non sono autosufficienti, hanno bisogno di una badante che magari, per via dei costi, pagano in nero. Ora, non potendo dimostrare il rapporto di lavoro, si ritrovano da soli. È uno dei tanti problemi conseguenti all’emergenza». Ma non l’unico. «No, perché tra gli anziani che vivono in famiglia e quelli che stanno da soli in casa o che vivono nelle Rsa e in altre comunità, c’è una sostanziale differenza. Soprattutto c’è un modo diverso di guardare il cosiddetto nonnino. In famiglia è ancora un punto di riferimento, spesso di aiuto economico a figli e nipoti. Nelle altre situazioni è visto quasi come un peso».
Anagrafe del disagio – In ogni caso è la gran parte a soffrire il disagio. «Il dramma vero – osserva Pili – è che l’organizzazione sociale insegue i problemi anziché prevenirli. Mi spiego meglio: i pazienti fragili, quali sono le persone anziane, dovrebbero essere inseriti in un’anagrafe, incrociando semplicemente i dati dei Comuni e dell’Inps. Solo così si potrebbe utilizzare al meglio la Protezione civile, che fa molto bene il suo, e le associazioni a essa collegate che sono ancora scarsamente cooordinate su questo specifico fronte».
Atteggiamenti negativi – In altre regioni italiane, come l’Emilia Romagna e la Toscana, già da metà febbraio le case di riposo sono state circoscritte da un efficiente cordone sanitario per evitare i contagi, altrove si è arrivati ad adottare questa misura in grave ritardo. «In Sardegna – dice Pili – non si è riusciti, non dotandoli dei necessari presidi, a mettere in sicurezza medici e infermieri che operano in prima linea, figuriamoci il resto della popolazione. Non dimenticherei, però, la diffusione dell’ageismo, un atteggiamento culturale negativo nei confronti degli anziani visti come un costo e non come una risorsa per la comunità».
Un terzo del Pil – Ora, con l’esplosione della pandemia, la situazione tende ad acuirsi. «Non è detto – ribatte il medico – anche perché occorre fare un distinguo: se da un lato è vero che i redditi degli over 65 rappresentano un terzo del Pil regionale, grazie alle pensioni erogate dall’Inps, dall’altro chi soffre il disagio in questo momento è una minoranza. Parliamo comunque di qualche decina di migliaia di persone. Che finché vivono in piccoli centri dell’interno va bene, ma se abitano in città i loro problemi sono amplificati dalla solitudine».
Centri di aggregazione – «Credo che Rsa e case di riposo possano andar bene se limitate agli ultimi anni della nostra vita, altrimenti risultano deleterie per la psicologia degli ospiti. Da tempo – spiega ancora Roberto Pili – sostengo che vanno incentivati i centri di aggregazione per gli anziani. Per loro è importante il dialogo e la compagnia quanto e più dei farmaci. Io non credo si possa aumentare la vita media dell’individuo solo per sottoporlo a cure costanti una volta in pensione. Gli over 65 costano in media oltre 60 miliardi di euro al sistema sanitario nazionale, troppi per non pensare di correggere la rotta e riflettere se non sia davvero il caso di rimodulare la macchina».
Fonte: www.unionesarda.it – Articolo di Vito Fiori